La pronuncia del latino

Essere consapevoli del fatto che il latino è una lingua storicamente conchiusa comporta un grosso rischio: quello di perdere il senso dell’evoluzione che la lingua latina ebbe nel corso dei secoli. La lingua latina non rimase immutata a partire dalle origini fino ai giorni nostri: in particolare la pronuncia variò nel corso dei secoli, rimanendo “stabile” solo in certi periodi in determinate aree.

Può essere utile ricordare che anche in questi periodi di stabilità possiamo essere certi che la pronuncia poteva variare in modo sensibile, ad esempio per motivi sociali. Si sa che vi fu una pronuncia urbana ed una rustica, analogamente a quanto avviene ai giorni nostri, in cui è facile avvertire la pronuncia dialettale o “da provinciale” come diversa, meno raffinata di quella di un cittadino. Già al tempo di Lucilio esisteva una qualità che caratterizzava questa pronuncia non urbana: la rusticitas, forse evoluzione o riflesso linguistico dell’antica dicotomia sociale (patrizi / plebei) risalente alle origini di Roma.

Sappiamo che la rusticitas si coglieva in alcune pronunce:

-    il dittongo ae pronunciato come la semplice e;

  • il dittongo au pronunciato come “o”;
  • scambi fonetici tra “ei”, “e” ed “i”, com’è attestato da passi di Cicerone e Varrone;
  • la deaspirazione popolare, che trascurava il valore di h iniziale e delle consonanti ch th e ph.

Nei testi antichi possiamo ricordare la celebre poesia di Catullo dedicata ad Arrio (c. 84), tutta basata sulla derisione dell’affettata raffinatezza del modo di parlare di questo personaggio probabilmente di umili condizioni. Uno studioso contemporaneo che ha approfondito questa tematica, Gualtiero Calboli, ha affermato: “C’è negli autori latini, a partire dal II sec. a.C. …e poi nel I sec. … l’avvertimento dell’esistenza di un latino rustico, più di natura fonetica che lessicale e sintattica”.

Questo latino è distinguibile in quanto diverso ed è definito rustico perché non ha raffinatezza fonetica. Per opposizione dunque ricaviamo che il latino “non rustico” è considerato raffinato e la sua raffinatezza è di ambito fonetico: si tratta della lingua dei ceti sociali elevati degli abitanti della città.

Nessuna opera a noi pervenuta degli autori della classicità ci ha lasciato un’analisi dettagliata dei fonemi della lingua latina e la descrizione della corretta pronuncia. Al contrario qualche informazione più dettagliata ci è giunta da autori dell’età tardoantica; la causa probabile fu la preoccupazione per la sparizione dei modelli del passato e l’evoluzione in atto nella lingua: di qui la necessità di fissare o determinare quei suoni che rischiano di perdersi. Per questo le opere che si sono occupate in modo sistematico dell’argomento risalgono a secoli in cui la pronuncia “corretta” non era, di fatto, praticata e ne era ormai compromessa la trasmissibilità.

Allo stato attuale possiamo ricostruire i suoni della lingua latina solo in modo congetturale, ricorrendo all’analisi di certi passi significativi di alcuni autori, oppure attingendo alle non abbondanti informazioni specifiche che ci hanno tramandato alcuni studiosi antichi, ma può anche risultare utile la comparazione delle parole latine tradotte o traslitterate in greco e viceversa.

Grazie a queste operazioni si è giunti così a determinare con una buona approssimazione il “suono” della lingua latina: la cosiddetta pronuncia "classica", in particolare quella in uso nelle classi elevate dell'età tardorepubblicana ed augustea, ampiamente studiata con risultati di una certa attendibilità per quanto riguarda tutti i fonemi.

Ecco le caratteristiche di questa pronuncia “classica”, definibile anche restituta (fr. restituée) o scientifica:

  1. la pronuncia dei grafemi “c” e “g” con suono gutturale anziché palatale (“Kikero” invece di “Cicero”, “ghens” invece di “gens”);
  2. la pronuncia del gruppo “ti” come “ti” e mai con la “z” aspra se seguito da vocale (“amichitia” invece di “amicizia”);
  3. la pronuncia in “s” del gruppo “ns” (“cosul” invece di “consul”);
  4. l’assenza del grafema e del suono “v”, al cui posto esisteva solo il grafema “u” con suono vocalico o semivocalico (uiuamus invece di vivamus);
  5. la pronuncia dei dittonghi “ae” ed “oe” con i due suoni vocalici distinguibili (Caesar pronunciato “Kàesar” invece di “Cesar”, e poena pronunciato “pòena”).

Rispetto a questa pronuncia, per quanto attendibilissima, in Italia è sicuramente più diffusa una pronuncia tradizionale, che applica molte regole valide per la lingua italiana: si può definire anche come “ecclesiastica”, esito dell’evoluzione della lingua latina usata ancor oggi dalla Chiesa cattolica e di prevalente uso nelle scuole italiane.