Le parole hanno una vita capace di sorprenderci: nascono, si diffondono, a volte fanno successo, invecchiano e, talvolta, muoiono. Alcune diventano improvvisamente alla moda, catturano l’attenzione e dilagano, spesso fastidiosamente, nei discorsi di (quasi) tutti. Ricordate le espressioni “a monte” e “a valle”? Hanno avuto una vita breve e intensa, sono state bersagliate dall’ironia e infine sono cadute nel dimenticatoio: oggi nessuno le usa più, almeno con la frequenza di un tempo. Ricordo che Luca Goldoni scrisse molti libri intitolati con una frase di moda.

Nei dialoghi, nelle interviste e nelle cronache ultimamente sta dilagando un intercalare nuovo: “no?”. In qualunque discorso compare più volte un “no?” con evidente funzione retorica. Nessuno infatti (per ora) si sognerebbe di interrompere il parlante con un perentorio “no!” seguito da un’obiezione vera.

Dal punto di vista linguistico questo intercalare negativo non è una vera novità: sono state usate un tempo e si usano ancora frasi come “non è vero?” o anche espressioni più popolari come “Nevvero?” / “Neh?”. Questo “no?” è però la vera novità dilagante, che merita una breve analisi.

La funzione generale di qualunque intercalare ricorrente è generalmente fàtica: chi parla si vuole assicurare che l’interlocutore lo ascolti: in genere fa la sua comparsa quando qualcuno parla usando frasi un po’ lunghe, per le quali teme che l’attenzione degli interlocutori diminuisca. L’interlocuzione ricorrente serve per scandire le frasi e cercare un punto di condivisione, senza che ci si aspetti di essere davvero contestati.

La funzione specifica è maggiormente legata alla parola usata: “no” non è “sì”; è proprio un avverbio di negazione. Perché dunque “no” e non “sì”?

Forse perché oggi è più difficile trovarsi d’accordo. Quasi mai si ottiene un vero consenso: la diffusa voglia di distinguersi, di esprimere un punto di vista originale, comunque “diverso” ci ha tolto la piena condivisione piena di un pensiero. Sempre più spesso le persone parlano per sé, quasi mai aspettano la fine del discorso, intervengono (meglio: interrompono) dicendo che il loro discorso è “tutto diverso” o che “intendevano un’altra cosa”. Sono i dialoghi che prevalgono nelle relazioni di oggi, che seguono due linee di pensiero diverse, quasi sempre inconciliabili.

Potrebbe essere questa l’origine di questo sempre più diffuso “no?”. La ricerca di una conferma: mi stai ascoltando? su questo punto sei d’accordo con me? Vorrei che fosse così, o almeno lo spero, ma forse non è così.
No?