Si intitola NERO su BIANCO - Carte d’archivio raccontano Leonardo la mostra che in questi giorni è ospitata nella sede dell’Archivio di Stato di Milano in via Senato 10. L’ingresso è gratuito, la mostra è di alto livello.

La prima sala, a pian terreno, è abbastanza tradizionale: un monitor collegato a un grande schermo permette di scegliere gli argomenti con la logica dell’ipertesto. Nella stessa sala è possibile ammirare due gigantesche carte topografiche antiche di Milano, vanto dell’Archivio, sempre accessibili al pubblico. Le teche espongono alcuni documenti scelti, che danno l’idea del paziente lavoro di chi studia i documenti d’archivio: quante pagine sono state sfogliate e lette prima di trovare quelle che possono servire per realizzare un’esposizione coerente!

Il certosino lavoro d’archivio questa volta ha scoperto qualcosa di nuovo e di unico che ripaga di tanti sacrifici e che, giustamente, ci attende al termine del percorso di visita.

Terminato questo primo contatto con i documenti esposti, si deve salire al secondo piano, nella sala affrescata, dove si è accolti da un maxischermo che copre l’intera parete di fondo. Ci si può accomodare per guardare un breve documentario sulle opere pittoriche di Leonardo realizzate nel suo soggiorno milanese. Alle grandi immagini fanno da scenario proiezioni sulla parete destra, che dialogano con le immagini principali, a ritmo cadenzato e suadente, che non distrae ma si integra armonicamente con le decorazioni affrescate superstiti e con l’audio ad alta fedeltà diffuso a volume calibrato. Poche altre teche mostrano documenti selezionati, leggibilissimi e graficamente eleganti. Una terza sala fa da anticamera all’ultimo ambiente. Si capisce che il curatore ci ha dato appuntamento lì, ci attende con la sorpresa finale, ma ci intrattiene nell’attesa con altri documenti d’archivio.

Eccoci pronti per il gran finale. Si entra in un ambiente piccolo e suggestivo, multisensoriale oltre che multimediale. Leggermente spostata sulla sinistra c’è una teca con un manoscritto che ha il colore delle carte antiche segnate dal tempo, con tratti di penna che sembrano ordinate decorazioni disposte a forma di righe di scrittura. Le immagini e l’audio ci rapiscono, con frasi brevi, dosate, che descrivono perfettamente il carattere dell’artista; il ritmo di lettura ci consente una piena comprensione e possiamo volgere gli occhi verso i giochi di ombre dietro le tende virtuali: un geco che si arrampica, delle rare foglie che cadono, un gatto che fa la sua comparsa. Finché tutto si oscura e una luce calda e potente fa comparire, evidente e suggestiva, l’immagine chiave della mostra: l’unica firma autografa conosciuta di Leonardo da Vinci, in andamento destrorso, voluta così dal notaio Antonio de Capitani, come suggello al contratto per la realizzazione della Vergine delle rocce. Leonardo rinuncia per l’occasione alla sua stravagante scrittura incomprensibile ai più. Perché così vuole il notaio.

La mostra è finita, le guide che accompagnano i visitatori spiegano i documenti e rispondono alle domande dei visitatori: a loro un ringraziamento sentito. Però è la mostra nell’insieme che è meritevole di un convinto plauso: gli strumenti multimediali non sono stati usati per fare spettacolo, ma sono stati usati per dare giusto rilievo ai contenuti. La durata dei filmati è a misura di spettatore, le voci, le immagini sono in movimento ma non presentano bruschi scatti o ritmi inutilmente veloci, accarezzano la vista e aiutano la comprensione.

Questa mostra è la dimostrazione che si può fare un buon uso della multimedialità: complimenti ai redattori e ai tecnici, perché hanno fatto un ottimo servizio alla cultura.