Una scoperta eccezionale

Una volta tanto una notizia di archeologia non si riferisce a un crollo, alla cronica mancanza di fondi o all'ennesimo furto; è stata scoperta la villa di Messalla, il ricco mecenate che si circondò di grandi poeti, dei quali i più famosi sono Tibullo e Ovidio. Il "circolo" di Messalla fu alternativo a quello di Mecenate, che era più orientato ad assecondare le idee e la politica di Augusto. Messalla accettò che venissero cantati liberamente tutti i temi, lasciò che Tibullo parlasse di pace, diede forte impulso all'elegia, che da allora assunse caratteri originali, diventando il genere letterario erudito, amoroso e personale che conosciamo.

Oggi sappiamo dove si trovava la sua villa, che si è salvata miracolosamente nell'era della cementificazione selvaggia. La stampa ha dato grande rilievo alla scoperta e si può sperare che sia un buon motivo per arrestare quel consumo del territorio che si sta divorando il nostro paesaggio e il nostro patrimonio culturale.
La semplificazione giornalistica parla prevalentemente di "Ritrovamento delle statue cantate da Ovidio"; i titoli devono colpire, è vero, però è difficile sottrarsi al fascino di quella che potrebbe essere solo una speranza. Ora dovranno lavorare gli archeologi alla pulitura e alla ricostruzione, poi i critici di storia dell'arte per cogliere gli aspetti originali delle statue ritrovate e solo alla fine arriveranno i letterati a cercare le eventuali corrispondenze tra arte figurativa e arte poetica.

Intanto possiamo andare a rileggere il passo di Ovidio, che si trova nel libro VI delle Metamorfosi dal verso 146 al 312. Ovidio crea un mirabile epillio, nel quale spicca la figura tragica di Niobe, felice madre orgogliosa dei propri figli che viene annientata da divinità crudeli e insensibili. Anche l'ultima delle sette figlie cade sotto i colpi di Diana insensibile all'estrema invocazione della madre che la supplica di lasciarle almeno l'ultima, la più piccola ""Unam minimamque relinque!" (v. 299).

Così Niobe è impietrita dal dolore e questa è la sua metamorfosi: diventa pietra, come le statue degli scavi della villa di Messalla.  Ecco i versi 301-312, con una possibile traduzione:

                                  ... orba resedit
exanimes inter natos natasque virumque
deriguitque malis: nullos movet aura capillos,
in vultu color est sine sanguine, lumina maestis
stant immota genis; nihil est in imagine vivum.
Ipsa quoque interius cum duro lingua palato
congelat, et venae desistunt posse moveri;
nec flecti cervix nec bracchia reddere motus
nec pes ire potest; intra quoque viscera saxum est.
Flet tamen et validi circumdata turbine venti
in patriam rapta est; ibi fixa cacumine montis
liquitur, et lacrimas etiam nunc marmora manant.

                    ... e si trovò sola,
tra i figli e le figlie e il marito esanimi,
e s'irrigidì dal dolore. il vento non le muove i capelli,
nel volto è esangue il carnato, gli occhi son fermi
sul volto abbattuto; non c'è vita nel viso
Perfino la lingua all'interno nel duro palato
si congela, le vene non riescono più a muoversi,
nemmeno il piede; dentro son pietra anche le viscere.
Eppure piange e abbracciata da un forte soffio di vento
fu riportata in patria; lì inchiodata alla cima del monte
si strugge, e ancora oggi il marmo si scioglie in pianto.