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Ho ricevuto la bella foto di un marmo della collezione Torlonia, che raffigura un venditore di carni intento al lavoro nella sua bottega. Si vedono gli animali in vendita, esposti a testa in giù come si usava fino a non molto tempo fa. Si distinguono delle oche, un coniglio, due maiali e, in alto, compare un'epigrafe particolare, che cita alcuni versi di Virgilio.
L’epigrafe incisa sul marmo esposto nella mostra "I marmi di Torlonia", chiusa nel febbraio di quest'anno, è stata commissionata a un artista di alto livello...
da un buon conoscitore di Virgilio, che ha voluto celebrare un macellaio eccezionale[1] servendosi del passo sotto riportato (Eneide I, 607-609); il testo in nero corrisponde a quello dell’epigrafe, il testo in rosso è quello dell’intero periodo. Sono le parole conclusive del discorso che Enea rivolge a Didone, che ha accolto benevolmente alcuni suoi compagni.
In freta dum fluvii current, dum montibus umbrae
lustrabunt convexa, polus dum sidera pascet,
semper honos nomenque tuum laudesque manebunt,
quae me cumque vocant terrae. …
Finché i fiumi correranno al mare, finché l’ombra dei monti
avvolgerà le concave valli, finché il cielo nutrirà le stelle,
per sempre resteranno l’onore e la lode al tuo nome,
qualunque sia la terra che mi chiamerà.
Le uniche varianti rispetto al testo virgiliano sono la desinenza in e (anziché in ae) del nominativo plurale (umbrae), sempre più comune a partire dalla tarda latinità fino a diventare norma nel medioevo; l’abbreviazione Q per la congiunzione enclitica –que è normale nelle epigrafi.
Sul piano retorico si notano l’iperbato a cornice semper…manebunt, la tmesi quae…cumque e la duplice anastrofe di dum. Il registro stilistico del passo è alto, come si conviene alla situazione e al personaggio; il tempo futuro dà alle parole di Enea il tono solenne della profezia.
Grammaticalmente si nota montibus che potrebbe essere un dativo di possesso, equivalente a un genitivo montium cacofonico e ordinario. Complicata la resa in italiano del verbo lustrare che, nel contesto, va inteso metaforicamente come un movimento avvolgente, quasi protettivo, dell’ombra sulle valli montane. Il verso lascia qualche dubbio, in particolare c’è chi concorda convexa con sidera con esiti interpretativi poco soddisfacenti. L’esametro ha il fascino del mistero; il sonoro e armonioso v. 609 è identico al v. 78 della V ecloga, riutilizzato in un diverso contesto: il pastore Menalca così celebra il bellissimo infelice pastore Dafni, morto prematuramente:
Dum iuga montis aper, fluvios dum piscis amabit
dumque thymo pascentur apes, dum rore cicadae,
semper hos nomenque tuum laudesque manebunt.
Finché il cinghiale amerà i rilievi del monte, il pesce i fiumi
finché le api si ciberanno di timo e di rugiada le cicale
sempre…
Come i grandi musicisti riutilizzarono i temi musicali in opere diverse così Virgilio riprese questo bel verso musicale per inserirlo in un altro contesto.
[1] Per quanto ne sappiamo potrebbe essere anche un’autocelebrazione.