Adulterinae abite claves

In occasione della bella mostra EL SUR CARLO MILANES - Carlo Porta nel bicentenario della morte (1821-2021), tenutasi nella Sala del Tesoro del Castello Sforzesco di Milano, il mio sguardo si è posato sul grande Affresco di Argo, unico elemento decorativo scampato alle ingiurie del tempo e degli uomini, ricomparso nel 1893, come spiega la bella scheda informativa redatta da Alessia Sana per il Comune di Milano.

L’affresco inquadra e sovrasta la piccola porta di accesso a uno stanzino in cui era custodito il tesoro del Duca di Milano. Alla fine del XV secolo il Bramantino[1] (?) aveva raffigurato un gigantesco Argo, il mitico guardiano dai cento occhi, il guardiano migliore per difendere la ricchezza ducale. Il volto di Argo è scomparso, ma gli altri elementi decorativi della complessa decorazione permettono di identificare con sicurezza la figura dominante dell’opera.

La scheda illustrativa spiega i dettagli del dipinto e racconta la storia della sua recente riscoperta casuale, con opportuni riferimenti all’episodio delle Metamorfosi di Ovidio (I, 668-723) in cui il poeta racconta come gli occhi del gigante Panoptes finirono sulla coda del pavone: i due pavoni simmetricamente disposti ai lati dell’affresco confermano il tema della decorazione.

Sopra la porta si trova la scritta latina che ha attirato la mia attenzione. La scheda spiega che è “rielaborazione di un’espressione tratta dall’Ars Amatoria di Ovidio”. Sarà proprio così?

La frase si può tradurre “Chiavi adulterate, andate via!”, ma l’aggettivo adulterinus subito ci fa venire in mente Ovidio, il cantore degli amori leciti e illeciti. Nell’affresco Ovidio sicuramente c’è, ma nel testo non c’è solo lui. Partiamo comunque dal testo ovidiano.

Nel passo di riferimento dell’Ars amatoria Ovidio sta raccontando le innumerevoli occasioni che la vita libera delle donne romane offriva per essere infedeli e allacciare relazioni adulterine. Inizia al verso 633: Quid faciat custos… “cosa potrebbe fare un guardiano?” davanti ai sotterfugi escogitati e alle chiavi false? La chiave falsa è proprio chiamata adultera. Infatti al v. 643, dice chiaramente che il nome stesso della chiave rivela l’uso che se ne poteva fare: nomine cum doceat, quid agamus, adultera clavis, cioè “dal momento che la chiave adultera ci spiega cosa fare”.

Ovidio usa più volte in questo passo la parola custos custodis, alludendo a chi vigilava sulle donne romane quando partecipavano alla vita sociale; siamo nell’ambito della poesia amorosa, il tesoro da custodire è la donna amata: non servono guardie armate ma persone di fiducia, pronte a rivelare le infedeltà delle donne ai mariti gelosi.

La parola adulter con i suoi derivati ha avuto uno straordinario successo nella lingua italiana moderna, in senso proprio e metaforico. Restando però nel mondo della letteratura latina troviamo in Sallustio l’aggettivo adulterinus (non adulterus) in un contesto ben diverso.

Nel capitolo XII del Bellum Iugurthinum Sallustio racconta come Giugurta organizza l’assassinio di Iempsale, figlio del re dei Numidi Micipsa, per impadronirsi delle sue ricchezze. Un manipolo di uomini si introduce nella casa che ospitava Iempsale, inducendo un funzionario “a procurarsi delle chiavi false con la scusa di andare a visitare la casa”: impellitque, uti tamquam suam visens domum eat, portarum clavis adulterinas paret. Nello stesso capitolo compaiono le parole thesaurum e pecunia. Non ci sono amori da custodire ma concrete ricchezze oggetto di bramosia.

Il contesto e l’aggettivo adulterinus ci inducono a pensare che l’ideatore della scritta, conoscendo entrambi i passi, abbia usato l’aggettivo sallustiano, più appropriato per la porta di accesso al tesoro ducale: era un severo ammonimento scritto: “andate via, chiavi falsificate!”; la grazia del racconto ovidiano aveva ispirato il dipinto, il drammatico passo sallustiano la scritta.

Colpisce però anche la particolare musicalità della frase, perché costituisce la seconda metà di un esametro. Potrebbe essere opera di un poeta meno lontano nel tempo, colto quanto bastava, arguto quanto serviva ed efficace nel risultato ritmico.

 

[1] L’attribuzione dell’affresco a Bramante o al Bramantino è incerta.