Con un certo ritardo riferisco di un ampio e interessante articolo dedicato alla serie TV Romulus dalla rivista ARCHEO nel numero di gennaio 2021. Ringrazio il dottor Bacchion del Gruppo Archeologico Milanese per la segnalazione e considero queste due note come un proseguimento del discorso sul “protolatino” del film Il Primo Re.

Il film di Matteo Rovere ha attirato l’attenzione degli amanti della lingua latina perché gli attori hanno recitato in una lingua latina immaginaria, familiare nei suoni, frutto di un lavoro in cui la filologia è stata messa al servizio della fantasia. Quella lingua faceva parte della finzione scenica, rappresentava la lingua nascente di un popolo nascente, la lingua usata nei lontani tempi della fondazione di Roma.

Quando il regista Rovere ha creato il serial Romulus, ha sfruttato e ampliato questa lingua inventata, poco importa se immaginaria, “incomprensibile eppure familiare”, come l’ha definita Umberto Livadiotti, l’autore dell’ampio articolo di Archeo dedicato a questa serie TV. Il protolatino ha conquistato uno spazio più ampio, quando il cinema si è aperto alle produzioni di SKY per la televisione: la prima serie di dieci puntate forse avrà un seguito.

Per avere un’idea del lavoro di traduzione si deve recuperare il numero 470[1] dell’inserto culturale “La Lettura” Corriere della Sera, 29 novembre 2020. Alla pag. 23 si può trovare una scheda che contiene tre versioni dello stesso testo, in protolatino, in italiano e in latino “vero”.

Non appartiene alle lingue imparentate con il latino la cosiddetta “elfica latina” di cui sono venuto a conoscenza nell’ambito di un’interessante discussione sul protolatino nata sul bel sito di cinema Film TV, al quale hanno partecipato numerosi utenti appassionati e competenti.

Questa lingua strutturata è un’invenzione di J.R.R. Tolkien, che ha così voluto definire il Quenya, la lingua antica degli elfi nella saga del Signore degli Anelli. La definì così l’autore stesso, che aveva profonde conoscenze filologiche e linguistiche. Ci piace sottolineare che l’aggettivo usato da Tolkien è attribuito a questa lingua inventata per qualificarla come lingua della cultura e della sapienza, a riprova dell’alta considerazione che la lingua latina possiede nel mondo reale e dell’immaginario fantastico.

Per chi poi fosse curioso di approfondire il discorso sulle lingue tolkeniane sarà un piacere leggere la tesi di laurea di Paolo Ciafardone.

 

[1] (https://www.corriere.it/laLetturaApp/ - abbonamento a pagamento)