Accompagnato da una campagna pubblicitaria spesso destinata all’ordinaria programmazione, è stato recentemente trasmesso da RAIDUE un documentario di carattere culturale dedicato a una delle più interessanti scoperte di questi ultimi anni: il Thermopolium della Regio V di Pompei. "Evento" collocato in prima serata, in uno dei pochi giorni lasciati liberi dalla quotidiana dose di calcio che tiene lontana una parte del grande pubblico dalle reti televisive pubbliche e private.

Per tradurre in italiano la parola di origine greca thermopolium

sono stati prevalentemente usati termini come "street food" o “fast food” Parole certamente di moda, traduzioni concettuali di facile uso e immediata comprensibilità, non del tutto precisi dal punto di vista linguistico; infatti nessuno di essi fa riferimento al significato letterale di questa parola composta.

Thermopolium deriva da θερμός (thermòs), caldo, e dal verbo πωλέω (poléo) voce del verbo che significa “vendere”, la cui radice è molto usata come suffisso in italiano per indicare un’attività commerciale (per esempio in “monopolio”). Il significato etimologico di “vendita di cose calde”, nel senso prevalente di “cibi”, potrebbe essere reso bene anche da termini italiani un po’ in disuso, che ogni tanto si trovano ancora nelle insegne di alcuni esercizi commerciali: “tavola calda” o “cibi cotti”. Con una certa disinvoltura il Paratore lo tradusse con “bar”.

Volendo creare un titolo ad effetto nessuno ha usato quei termini popolari poco attrattivi. I termini moderni inglesi sono più accattivanti, soprattutto perché istituiscono immediatamente un accostamento tra realtà lontanissime nel tempo, riferibili a un passato perduto per sempre nei dettagli. Fast o street food sono simpatici anacronismi, che un bravo lettore di telegiornale può sottolineare con un sorriso ironico e che attirano con la loro forza comunicativa il lettore della carta stampata o delle pagine Internet.

Il documentario trasmesso dalla RAI ha avuto fondamentalmente lo stesso obiettivo di facile divulgazione: produrre sorpresa, interessare, coinvolgere emotivamente gli spettatori. Abbiamo rivissuto l’infausta sorte dei morti causati dall’eruzione del Vesuvio, abbiamo condiviso (forse anche un po’ invidiato) la fortunata sorte degli scopritori, apprezzandone la serietà e lo spirito di collaborazione nel concentrare su un unico obiettivo le diverse competenze disciplinari chiamate in causa da una scoperta di così grande rilevanza.

Nel documentario sono state evidenti le frequenti ripetizioni di alcune scene simulate e molto semplificate le procedure di scavo; c’è stata anche una componente di protagonismo di Massimo Osanna, il bravo direttore del Parco Archeologico di Pompei, autore anche del libro Pompei - Il tempo ritrovato (2020 - Rizzoli) in cui racconta le ultime scoperte pompeiane.

L’archeologia è una disciplina più complessa di quanto è apparso, è faticosa, necessita sempre di pazienza, che solo qualche volta può dare delle soddisfazioni così degne di una ribalta internazionale. Questa volta è andata così: abbiamo potuto vedere un documentario piacevole che si spera possa contribuire alla promozione di una visita a Pompei e delle tante bellezze che l’Italia conserva e deve valorizzare per consolidare il proprio primato culturale nel mondo.

Per chi lo volesse rivedere ecco il link a RaiPlay; per la rassegna stampa basta utilizzare un motore di ricerca, a partire dall'ANSA che riporta una bella serie di immagini e dai principali quotidiani nazionali.    

Per chi è curioso di quello che poteva succedere in un thermopolium… 

 

(La storia continua…)