Sabato 15 dicembre 2018 Massimo Gramellini, dopo essersi commosso pubblicamente raccontando la straziante storia della piccola Giulia, che, consapevole di essere prossima a soccombere alla malattia, ha deciso di donare i propri giochi “ai bambini più sfortunati”, si è trasformato in un personaggio banale: il professore della da lui sconosciuta materia “compiti delle vacanze”.
Per avvalorare i suoi sorrisetti complici da finto esperto della materia si è fatto affiancare da uno storico, Paolo Mieli, che ha interpretato la parte di tuttologo triste, nel caso specifico inesperto del settore. Per fortuna a innalzare l’infima qualità del teatrino a due è intervenuta una professoressa vera, che ha potuto dare una “risposta professionale”, una luce nel buio provocato dallo stolto applauso telecomandato che approva indifferentemente commoventi storie e palesi imbecillità.
Lo spunto è stato dato

dalla notizia che il Ministro dell’Istruzione ha espresso un parere su un tema di facile presa in questi tempi di populismo dilagante: i “compiti delle vacanze”. Si potrebbe cominciare a dire che un Ministro (sottolineo: Ministro) dovrebbe sempre pesare le proprie parole. Entriamo però in argomento.
I compiti delle vacanze sono una pratica della didattica di grande variabilità, che rientra nel patto educativo e formativo che i docenti instaurano con i propri alunni: nella maggior parte delle classi hanno una consistenza pari a zero per i periodi brevi di vacanza e possono aumentare per i periodi più lunghi. La loro migliore espressione si riduce a una serie di consigli per non dimenticare quanto si è appreso nel corso dell’anno e per riprendere gli studi con meno affanno. 
L’oggetto della discussione di fatto non c’è: tecnicamente: nessuno ha nel suo piano didattico l’assegnazione di “compiti per le vacanze”; non è un’attività didattica ordinaria, ma una prassi attuata da una parte minima di docenti, che in genere si risolve a livello di singola classe o singola scuola.
Riassumendo: un vero Ministro di questi argomenti non si dovrebbe occupare; se lo fa è perché sente l’esigenza di essere popolare, di dire qualcosa di “originale”, in grado di fare notizia.
Un giornalista potrebbe classificare questa come una “non notizia” oppure biasimare la corriva tendenza a cercare facili consensi. Uno storico potrebbe tranquillamente esimersi dall’esprimere un parere su ogni cosa. 
Ottimo dunque l’intervento di una vera professoressa che ha espresso un parere professionale nel poco tempo concesso, utile però a far conoscere la figura del tutor nelle scuole medie.
Ancora due considerazioni: in realtà la figura del tutor non è un’esclusiva della scuola “Rinascita” di Milano. Esiste anche in altre scuole, basta informarsi.
La Scuola oggi sente l’urgenza di un cambiamento epocale: l’introduzione di materie che educhino al rispetto delle regole e alla cittadinanza. Questo andava detto, lasciando le chiacchiere sui “compiti delle vacanze” al posto in cui vanno collocate: inutili pettegolezzi.