Presso l'Istituto Gonzaga si è tenuto, nei giorni 25 e 26 febbraio 2016, un interessante convegno sugli Orizzonti della didattica delle lingue classiche.
Ecco un sintetico resoconto sugli interventi.

Due pomeriggi interi passati a riflettere su Gli Orizzonti della didattica delle lingue classiche erano attesi da tempo. L’ampia Aula Magna dell’Istituto Gonzaga...

 

è stata appena in grado di accogliere il numeroso pubblico. Dopo gli onori di casa fatti dal prof. Paolo Scaglietti, si sono avvicendati i relatori.

Luigi Miraglia ha individuato i problemi attuali delle nostre discipline: l’eterno problema motivazionale e quello recente dei tempi ristretti di insegnamento. Se la traduzione è l’unico mezzo di verifica, il risultato alla fine degli studi è deludente. Bisogna trovare metodi alternativi di insegnamento, servendosi della glottodidattica delle lingue moderne orientata all’uso della lingua. Per una valutazione non limitata alla traduzione si potrà far ricorso alla fantasia, che suggerirà infiniti modi per consentire agli alunni di ampliare il lessico e impadronirsi della maggior parte delle strutture. Tra gli strumenti suggeriti: le frasi per amplificazione e il supporto della grafica elementare (disegni semplici) per far descrivere le azioni.

Carlo Campanini concentra la sua attenzione sul triennio, puntando sul valore del latino e del greco non come lingue ma come strumenti culturali, in un liceo che ci educa alla storia e in particolare alla diacronia: il presente è storia. Lo studio ci mette a confronto con una civiltà “altra” e nella programmazione ci si deve aprire a temi di civiltà. I testi-meta (obiettivo finale) sono quelli che i ragazzi devono saper tradurre al termine di un percorso di conoscenza storica. La consapevolezza di quanto si sta facendo avrà anche un valore motivazionale.

Massimo Gioseffi prende in considerazione la situazione di Lettere Moderne, dove lo studio del latino ha un tempo limitato, le generazioni si avvicendano in fretta e mostrano limiti di conoscenza anche dell’italiano. Il metodo migliore è quello di partire da versioni di testi noti (Piccolo Principe, Biancaneve…) abbandonando l’abitudine di usare la traduzione per accertare le competenze morfosintattiche. Per avvicinarci al testo suggerisce: la presentazione del brano, la lettura a voce alta e il riconoscimento dei punti di snodo (connettivi) delle strutture.  Il docente deve guidare gli studenti, liberandoli dalla schiavitù del vocabolario e orientarli alla comprensione critica dei vocaboli contestualizzati e dei concetti espressi.

Elisabetta Degl’Innocenti spazia nel campo della persistenza dei modelli classici, che ha avuto anche un’evoluzione nel corso del tempo. I classici alimentano l’arte e la letteratura; la memoria storica persiste in larghi strati della popolazione, manifestandosi in classicismi quotidiani. Anche il postmoderno si comprende nel confronto con Roma e la Grecia nell’antichità.

Cinzia Bearzot vede lo studio come elemento motivazionale: studiare le lingue classiche è maledettamente interessante. Non serve più la motivazione linguistica, ma il latino e il greco sono strumenti di conoscenza di una civiltà. Il mondo antico non può non interessarci, è la base della nostra cultura, alimento della memoria e dell’identità, che sarebbe grave perdere. Senza la conoscenza del contesto si sbaglia lessico, si fraintendono i testi. Bisogna lavorare sul lessico e sulla storia delle parole svecchiare le classiche prove di traduzione se si vuol dare un futuro agli studi classici.

Luisa Rossi ha mostrato i prodigi delle tecnologie a sostegno dello studio, che possono aiutare l’apprendimento servendosi di filmati e grafici. Interessante il laboratorio multimediale di traduzione, lingua e cultura Per Gradus, curato da Pearson, che ha promosso e finanziato questo convegno.