Fra le tante interessanti discussioni che nascono nell’ambito della Sodalitas, ha suscitato la mia curiosità linguistico-culturale un passo della nuova traduzione ufficiale della Bibbia approvata dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI): la traduzione in italiano della notissima frase evangelica Noli me tangere.
Il risultato di questa riflessione è il presente articoletto che affido alla lettura dei frequentatori di questo sito.

Questo topos letterario...

Questo topos letterario – artistico deriva da un passo della versione latina di S. Gerolamo (Vangelo di Giovanni 20,17), che così traduce l’espressione greca μὴ μου ἅπτου. La frase, in greco e in latino, è icastica, si ricorda facilmente, è un avvertimento immediatamente comprensibile, un ordine perentorio efficace, che ha ispirato molti pittori (da Giotto a Picasso) e scultori

La traduzione artistica del passo evangelico è stata per secoli quella di Maddalena che avvicina la sua mano a Cristo (in particolare al suo mantello) e di Cristo che frena il suo slancio.

Proviamo a considerare le ragioni per cui la traduzione più semplice, “Non mi toccare”, è stata corretta in “Non mi trattenere”.
In greco la frase μὴ μου ἅπτου presenta il verbo ἅπτομαι all’imperativo presente, che esprime azione non istantanea ma che ha una certa durata. Semanticamente la radice esprime il senso di “attaccarsi a” (cfr. lt apio), quindi la nuova traduzione ha una sua giustificazione linguistica.

E sul piano culturale? esprimo qualche bonaria riserva che qui riassumo.

Partiamo dal verbo “toccare” in greco e in latino; mi servirò del Leopold (Lipsia 1911), vocabolario Greco-Latino. In greco abbiamo tre verbi che significano “toccare”

  • ἅπτω = necto, annecto, apto, iungo; al medio ἅπτομαι annecto mihi, capio, comprehendo; τινός (raro τινί) tango...
  • θιγγάνω = tango, attingo
  • ψαύω = tango, leviter attingo, prehendo

Altri verbi possono avere un valore che appartiene alla stessa area semantica come ἔχομαι, προσέχομαι, πρόσκειμαι, ἐπιβαίνω, ἐφικνέομαι. In certi contesti cui possono assumere questo significato.

Il verbo più usato è ἅπτω / ἅπτομαι costruito in larghissima prevalenza con il genitivo. Nel significato di attaccare / attaccarsi a... attraverso il latino aptus è arrivato fino a noi (per esempio “adatto” e il suo contrario “inetto”). Tra i significati abbiamo anche un ”toccare in senso erotico” come in Platone (Leg. 840, a) dove, parlando dell’atleta Icco di Taranto, dice che, per vincere, οὔτε τινὸς πώποτε γυναικὸς ἥψατο ούδ᾽αὖ παιδὸς ἐν ὅλῃ τῇ τῆς ἀσκήσεως ἀκμῇ - Il senso è confermato da NT Cor 1,7,1 γυναικὸς μὴ ἅπτου. In diversi contesti si trova nelle accezioni di "toccare per fare il male" a sé (impiccarsi) e agli altri (mettere la mani addosso) in senso ostile; In particolare nel composto κα

 

θάπτομαι.

θιγγάνω è quasi sinonimo, spesso associato a χειρί, quindi più legato al tocco di mano. Prevale anche in questo verbo il senso ostile di questo “toccare”.

ψαύω presenta analogie con gli altri verbi, anche se attestato nel senso medico di "tastare il polso" (Galeno).

La versione latina di San Gerolamo, che sostituì la Vetus Latina, sceglie la traduzione più semplice del verbo greco: tangere. Nessuno ha avuto dubbi per secoli, anche se si può cogliere un segnale di difficoltà in un passo di Nonno di Panopoli, che nel V sec. compone una parafrasi del Vangelo secondo San Giovanni[1]

Et clamavit Maria. Illa conversa ad Magistrum locuta est.

Deus arcuit mulierem admoturam dexteram divinae vesti.

Dixit ei: noli tangere tunicam divinam; nondum enim

post mortem parenti meo redii…

 

[traduzione mia]

 Nonno interpreta il pronome personale μου del testo greco come metonimia di “veste”, forse spostando la direzione del gesto dal corpo alla veste; tuttavia il grecofono Nonno parafrasa ἅπτου con il sinonimo ψαύω, confermandone il significato di “toccare” e non di “trattenere” o di “attaccarsi a”.

 Con un balzo di alcuni secoli, consultando alcune traduzioni in diverse lingue moderne, ho notato che fino a un secolo fa non c’erano dubbi: il latino tangere significa “toccare”.

  • 1903 it:          «Non toccarmi perciocché non sono ancora salito al Padre mio»
  • 1903 sp:        «No me toques, porque aùn no he subido a mi Padre» [Version de Cipriano de Valera – 1602]
  • 1870 eng:      «Touch me not; for I am not yet ascended to my Father»
  • 1903 fr:         «Ne me touche point, car je ne suis pas encore monté vers mon Père» [Version d’Ostervald]
  • 1906 de:        «Rühre mich nicht an; denn ich bin noch nicht ausgefahren zu meinen Vater» [D Martin Luthers]
  • 1878 rus: dal poco che posso intendere anche il testo russo conferma la traduzione prevalente. 

Nella percezione comune “toccare” è un po’ contaminare, rendere impuro. Pensiamo alla famiglia di parole derivate dal verbo latino tango nelle diverse forme in cui di trova declinata in latino (per esempio integer) e in italiano (contagio, intatto, intoccabile…). Tutte queste parole implicano la compromissione della purezza provocata dal contatto. Si potrebbero aggiungere le credenze popolari riguardanti in particolare le donne mestruate, ma anche per rappresentare la potenza di un contatto, si può anche ricordare il valore scaramantico di alcune popolari forme di contatto[2].

La contaminazione per contatto era tipica della cultura antica classica. Innumerevoli sono gli esempi in tutta la letteratura greca e latina. In particolare nella cultura antica “la nascita e la morte sono spesso associate come forme d’impurità”[3]

Ancestralmente la cultura di questo contagio per contatto si è trasmessa fino a noi (perfino nei giochi dell’infanzia) e per secoli è stata accettata così. “Non toccarmi” significa che Gesù intende presentarsi puro al cospetto del Padre, nemmeno una santa lo può toccare e così è stato inteso per secoli.

Il topos è rimasto anche nella sensibilità comune degli scrittori: Jean-Luc Nancy così intitola il suo recente saggio Non toccarmi, (Edizioni Dehoniane) e analizza sul piano filosofico l’intimazione di Gesù a Maddalena. Il recentissimo libro di Camilleri, Non mi toccare, conferma la popolarità del passo evangelico nella forma più comune e antica.

Insomma la raffinata traduzione moderna della nuova Bibbia appare filologicamente arguta e interessante, ma non credo che potrà a breve termine, sostituirsi a un luogo comune che per tanti secoli è rimasto nella forma in cui lo conosciamo.

Sicuramente il progresso ci avrà fatto cercare delle forme più politicamente corrette per la traduzione del passo evangelico, la filologia ci aiuta a trovare la migliore traduzione, ma, forse, non avrei “toccato” questa espressione tanto popolare.

Però le questioni dottrinarie esulano dalle mie competenze.

[1] NONNOS METAPHRASIS EVANGELII IOANNEI edizione 1834
[2] limitiamoci al “toccare ferro”.
[3] Louise Brouit Zaidman, Le figlie di Pandora in Storia delle donne - l’Antichità Laterza p.412; interessante la citazione di Eur. If. Taur. 381 - 384