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Con questa lettura si conclude il ciclo degli incontri con i grandi dell'Ottocento. Sarà una serata speciale dedicata a un grande della letteratura, a volte sommariamente liquidato come "noioso". La serata vuole ricordarne la figura e l'importanza non solo per la storia della lingua italiana, ma per la qualità della sua produzione. Scrisse prose, poesie, tragedie e un solo romanzo, perché "di libri basta uno per volta, quando non è d'avanzo". La modestia, l'ironia, la sapienza e la sensibilità del grande Manzoni saranno onorate dalle immagini, dalla calda musica di un vero violoncello e dalla mia voce narrante.
Se poi non sarò riuscito nell'intento... sappiate che non s'è fatto apposta.
Buona serata a tutti quelli che vorranno intervenire e a chi non ne avrà avuto il tempo.
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Dopo un periodo un po' problematico eccomi a riproporre le "solite" iniziative; a dire il vero non ho avuto tempo nemmeno per comunicarne una davvero carina e originale: la cena con il poeta.
Tutto è nato dal vulcanico Circolo culturale con il quale collaboro, un gruppo formidabile di persone sempre pronte a cogliere le iniziative più belle e a proporle agli iscritti. Non c'è iniziativa culturale musicale, artistica, di intrattenimento che sfugga a questi cari amici. E così, parlando di un simpatico libretto che raccontava i gusti gastronomici di Giovanni Pascoli, ci siamo trovati a organizzare la cena con il poeta, un menu preparato in casa seguendo i gusti e le ricette di casa Pascoli e gustato in compagnia con il contorno di poesie... gustose. La simpatica iniziativa ha avuto un meritato successo, dovuto (soprattutto) alla sapienza delle cuoche e dei cuochi, senza voler togliere nulla alle poesie. Poi c'è stata la sera dedicata al grande Ugo Foscolo e ora, anzi, questa sera è previsto il magico incontro con il grande Giacomo Leopardi.
Testi accuratamente scelti e antologizzati, una presentazione accurata, arricchita dalle immagini della mia bravissima collega Gisella Malagodi e dalla musica del Maestro Alberto Napoli della scuola di musica MC. Ecco la locandina e prometto che la prossima volta darà la notizia con largo anticipo.
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L'undici febbraio 2013 non è stato un giorno storico solo per le dimissioni del papa, ma anche per la piccola rivincita che la lingua latina si è presa sulle tanto propagandate "lingue utili" definite "vive". L'unica persona in grado di comprendere e quindi divulgare la storica notizia è stata una giornalista che conosceva il latino.
Sento pieno l'orgoglio del latinista, perché, a dispetto di tutti quelli che ritengono il latino una lingua morta e inutile, questa volta è servita a qualcuno per divulgare una notizia incomprensibile per la maggior parte dei presenti. Complimenti dunque alla brava giornalista, ma per un giorno ci possiamo sentire fieri di essere cultori di questa lingua.
Il latino è lingua ufficiale dello Stato della Città del Vaticano, non è morta, né "storicamente conclusa" e lo possono testimoniare anche i cultori del neolatino e i latinofoni. È la madre dei dialetti italiani e della lingua italiana. Studiarne il lessico significa appropriarsi del significato delle parole che usiamo e non è cosa da poco saper usare bene le parole e comprenderne il vero significato.
Ora passiamo ai testi, ovviamente latini.
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Una scoperta eccezionale
Una volta tanto una notizia di archeologia non si riferisce a un crollo, alla cronica mancanza di fondi o all'ennesimo furto; è stata scoperta la villa di Messalla, il ricco mecenate che si circondò di grandi poeti, dei quali i più famosi sono Tibullo e Ovidio. Il "circolo" di Messalla fu alternativo a quello di Mecenate, che era più orientato ad assecondare le idee e la politica di Augusto. Messalla accettò che venissero cantati liberamente tutti i temi, lasciò che Tibullo parlasse di pace, diede forte impulso all'elegia, che da allora assunse caratteri originali, diventando il genere letterario erudito, amoroso e personale che conosciamo.
Oggi sappiamo dove si trovava la sua villa, che si è salvata miracolosamente nell'era della cementificazione selvaggia. La stampa ha dato grande rilievo alla scoperta e si può sperare che sia un buon motivo per arrestare quel consumo del territorio che si sta divorando il nostro paesaggio e il nostro patrimonio culturale.
La semplificazione giornalistica parla prevalentemente di "Ritrovamento delle statue cantate da Ovidio"; i titoli devono colpire, è vero, però è difficile sottrarsi al fascino di quella che potrebbe essere solo una speranza. Ora dovranno lavorare gli archeologi alla pulitura e alla ricostruzione, poi i critici di storia dell'arte per cogliere gli aspetti originali delle statue ritrovate e solo alla fine arriveranno i letterati a cercare le eventuali corrispondenze tra arte figurativa e arte poetica.
Intanto possiamo andare a rileggere il passo di Ovidio, che si trova nel libro VI delle Metamorfosi dal verso 146 al 312. Ovidio crea un mirabile epillio, nel quale spicca la figura tragica di Niobe, felice madre orgogliosa dei propri figli che viene annientata da divinità crudeli e insensibili. Anche l'ultima delle sette figlie cade sotto i colpi di Diana insensibile all'estrema invocazione della madre che la supplica di lasciarle almeno l'ultima, la più piccola ""Unam minimamque relinque!" (v. 299).
Così Niobe è impietrita dal dolore e questa è la sua metamorfosi: diventa pietra, come le statue degli scavi della villa di Messalla. Ecco i versi 301-312, con una possibile traduzione:
... orba resedit
exanimes inter natos natasque virumque
deriguitque malis: nullos movet aura capillos,
in vultu color est sine sanguine, lumina maestis
stant immota genis; nihil est in imagine vivum.
Ipsa quoque interius cum duro lingua palato
congelat, et venae desistunt posse moveri;
nec flecti cervix nec bracchia reddere motus
nec pes ire potest; intra quoque viscera saxum est.
Flet tamen et validi circumdata turbine venti
in patriam rapta est; ibi fixa cacumine montis
liquitur, et lacrimas etiam nunc marmora manant.
... e si trovò sola,
tra i figli e le figlie e il marito esanimi,
e s'irrigidì dal dolore. il vento non le muove i capelli,
nel volto è esangue il carnato, gli occhi son fermi
sul volto abbattuto; non c'è vita nel viso
Perfino la lingua all'interno nel duro palato
si congela, le vene non riescono più a muoversi,
nemmeno il piede; dentro son pietra anche le viscere.
Eppure piange e abbracciata da un forte soffio di vento
fu riportata in patria; lì inchiodata alla cima del monte
si strugge, e ancora oggi il marmo si scioglie in pianto.
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Ritorno in Mediateca
In occasione della mostra sull'imperatore Costantino e il cosiddetto "Editto di Milano", la Mediateca Santa Teresa mi ha offerto la possibilità di proporre una lettura di poesia latina.
Sono tornato a far visita alle persone e ai luoghi e ho trovato una bella sorpresa: la piazza antistante è stata liberata dal cantiere. C'è un ambiente ampio che valorizza la bella facciata della caserma dei Carabinieri, ci sono tante panchine e tanti giovani alberi che promettono un po' d'ombra; una fontana con l'acqua che scorre dolcemente su un muretto divide la zona di passeggio dalla retrostante zona sportiva.
Giovedì 13 dicembre ore 15 - 16.30
Poesia latina del IV secolo - L'età di Costantino tra paganesimo e cristianesimo.
Lettura multimediale immagini a cura di Gisella Malagodi
Franco Sanna
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