Un inno ambrosiano nella Cavalleria Rusticana di Monleone?
Giovanni Verga e il latino
In chiusura della mia avventura verghiana vorrei aggiungere alcune considerazioni che riguardano possibili rapporti tra lo scrittore e la lingua latina.
Certamente Verga ha studiato il latino, ma nella sua attività di scrittore non mi risulta alcun componimento in latino. Rivolgendosi all’Italia appena unita, non volle esprimersi in dialetto e non poteva certamente usare la lingua latina. Nel campione di lettere che mi è capitato di leggere ho solo trovato qualche frase latina di circostanza, luoghi comuni che fanno parte del lessico privato e pubblico di una persona colta, nulla più.
Ma nei libretti delle due Cavallerie il latino c’è…
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Antiquarium Alda Levi - L'anfiteatro di Milano
Che Milano sia stata capitale dell’impero di Occidente, al punto da competere anche con Roma[1], non si direbbe dai miseri resti che sopravvivono ai nostri giorni. Qualche muro di mattoni, un paio di torri del Circo ampiamente rimaneggiate, qualche reperto usato come ornamento parietale e poco altro. Quello che non è stato macinato dalle talpe metropolitane è inaccessibile perché conservato all’interno di case private oppure sepolto sotto il manto stradale; quanto è esposto nel piccolo, ma vivace Museo Archeologico di Corso Magenta non è certo proporzionato all’importanza di una capitale imperiale.
Per fortuna gli archeologi non si arrendono: scavano, trovano, studiano e valorizzano quello che resta, consentendoci di migliorare sempre più le nostre conoscenze su Milano romana.
Accompagnato dal dottor Bacchion del Gruppo Archeologico Milanese mi sono recato a visitare l’Antiquarium dell’anfiteatro romano “Alda Levi”, insieme a un gruppo dei mitici “Latinisti dell’Archivio”, un sodalizio nato nei corsi di latino dell’Archivio di Stato di Milano. Le visite sono gratuite e garantite dai volontari del Touring Club Italiano, nell’ambito della lodevole iniziativa “Aperti per voi”.
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Alessandro Manzoni e il latino - terza e ultima puntata
Ultime considerazioni sui traduttori e sulle traduzioni delle opere poetiche di Alessandro Manzoni.[1]
Ha senso tutto questo furore traduttivo esercitato applicato alle opere di uno dei padri della lingua italiana?
Il traduttore degli Inni Sacri era avvantaggiato dall’argomento in sé, perché, sul piano concettuale e lessicale, poteva contare su testi appartenenti a una lunga tradizione di autori latini cristiani.
Tradurre la poesia civile era più complesso; i traduttori del Cinque Maggio furono numerosi e diedero prova di grande tecnica usando metri anche rari o complessi. Molto meno numerosi furono i latinisti che si cimentarono nella versione di altri componimenti “laici”[2]. Il campo era nuovo, si era in pieno Risorgimento, dove dominavano temi, argomenti, parole di un mondo nuovo e diverso da quelli passati.
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