Negli spazi liberi del volume compaiono numerose annotazioni autografe del poeta, tipiche di ogni studioso: appunti, commenti, osservazioni tecniche, testimoni di un dialogo instaurato con i testi studiati.  

Oltre a queste annotazioni “normali” se ne trovano altre che costituiscono un aspetto originale e interessante del Virgilio dell’Ambrosiana, le note obituarie, prevalentemente costituite dalla data di morte di persone care: nome del defunto e data di morte a ricordo di compagni di vita venuti a mancare, che idealmente si affacciano nei pensieri del poeta e si fermano negli spazi liberi delle pagine. Ampio, commovente e sentito è quello dedicato al figlio Giovanni, morto di peste a Milano all’età di venticinque anni, nel 1361.

Sul primo foglio del volume, in particolare evidenza si trova il ricordo della morte di Laura, che si presentava al poeta tutte le volte che apriva quel caro libro, qui sepe sub oculis meis redit.

Ecco il testo integrale della nota, seguito dalla traduzione:

Laurea propriis virtutibus illustris et meis longum celebrata carminibus primum ocuiìs meis apparuit sub primum adolescentie mee tempus anno M° III° XXVI° die VI mensis aprilis in ecclesia Sancte Clare Avinione hora matutina et in eadem civitate eodem mense aprilis eodem, die VI hora prima anno autem M° CCC° XLVIII° ab hac luce lux illa subtracta est cum ego forte tunc Verone essem; heu, fati mei nescius. Rumor autem infelix per literas Ludovici mei me Parme repperit anno eodem mense majo die XIX mane. Corpus illud castissimum atque pulcherrimum in loco fratrum Minorum repositum est ipso die mortis ad vesperam. Animam quidem ejus ut de Africano ait Seneca in celum unde erat rediisse persuadeo mihi.  Hoc autem ad acerbam rei memoriam amara quadam dulcedine scribere visum est hoc potissimum loco qui sepe sub oculis meis venit ut scilicet nihil esse debeat quod amplius mihi placeat in hac vita et effracto maiori laqueo tempus esse de Babilone fugiendi crebra horum inspecione ac fugacissime etatis estimatione commonear, quod previa Dei gratia facile erit preteriti temporis curas supervacuas spes inanes et inexpectatos exitus acriter ac viriliter cogitanti.

“Laura, illustre per proprie virtù e per lungo tempo celebrata nei miei canti, apparve per la prima volta agli occhi miei in sul principio della mia adolescenza, l’anno 1327, il 6 d’aprile, nella chiesa di Santa Chiara d’Avignone, di buon mattino, e nella stessa città, nello stesso mese d’aprile, nello stesso giorno 6, nell’ora prima, l’anno 1348, quella luce fu tolta a questa luce mentre io per caso mi trovavo a Verona, inconsapevole, ahimè!, del mio destino. La notizia dolorosa mi giunse a Parma per lettere del mio Lodovico[1],  nell’anno  stesso, nel mese di maggio, la mattina del giorno diciannove. Il suo corpo castissimo e bellissimo fu deposto al convento de’ frati minori, nel dì della morte, di sera. L’anima poi, come di quella dell’Africano disse Seneca, io credo che sia tornata al cielo, donde prima era discesa. Ho ritenuto di scrivere con una certa amara dolcezza questa nota, ad acerbo ricordo di tale perdita, su questa pagina che spesso mi torna sotto gli occhi, perché mi venga l’ammonimento dalla frequente vista di queste parole e dalla meditazione sul rapido fuggire del tempo, che non c’è nulla in questa vita in cui io possa ormai trovare piacere e che è tempo, ora che è spezzato il legame più saldo, che io fugga da Babilonia: e questo, con l’aiuto della grazia di Dio sarà per me facile, se rifletterò profondamente e con coraggio sulle inutili cure, sulle vane speranze e sugli esiti imprevisti del tempo passato.”[2]

La presenza in prima pagina di una nota così curata, articolata ed estesa ha diversi significati. La finalità è esplicitamente indicata dal poeta: deve ammonirlo sulla fugacità del tempo e sugli errori commessi in passato, tematiche che ricorrono nelle altre opere di Petrarca. Laura per il poeta non è stata la donna angelo del dolce stil novo, ma il punto di riferimento della sua vita. A lei e al suo ricordo il poeta è indissolubilmente legato: ha accompagnato la sua vita come questo libro.

La particolare cura formale si vede nell’andamento del periodo, nella scrittura e nel misurato ricorso a figure retoriche classiche, fra le quali spicca il brillante poliptoto chiastico hac luce lux illa.  

Su queste note sono stati condotti studi accurati[3] da valenti studiosi e in generale gli studi petrarcheschi fioriscono. In questa umile sede ho voluto solo dedicare un tributo a un libro unico, bello, pieno di storia, testimonianza di amore per una persona e per la cultura, un libro che fu un compagno di vita, quasi un diario, sul quale la leggenda dice che il poeta reclinò il capo quando morì.

(4 - fine)  

 

[1] Ludwig van Kempen, l’amico Socrate, in una lettera del 9 maggio 1348  

[2] Autore della traduzione: Salvadori G., in ''Il segreto del Petrarca'', in ''Vita e pensiero'', Nuova serie, anno XIII, vol. XVIII, fasc. IX, settembre 1927'', pag. 153-154, citata da Martina Ianne in “I Visconti, Pavia e il Virgilio ambrosiano” www.academia.edu

[3] F. PETRARCA, Le postille del Virgilio Ambrosiano, a cura di M. BAGLIO, A. NEBULONI TESTA e M. PETOLETTI; segnalo anche questo interessante articolo specifico di Maddalena Signorini https://art.torvergata.it/retrieve/handle/2108/39331/67375/31%20-%20Signorini.pdf