Storia di una statua controversa a partire dai testi di Q. Aurelio Simmaco e di Sant'Ambrogio

Nel romanzo umoristico L’eroe di Achille Campanile si trova la storia della statua di un “eroe” che non trova una sua collocazione e che viene spostata continuamente in base alle disposizioni dei protagonisti.
La storia della statua e dell’altare della Vittoria è molto più seria e si lega al tramonto della civiltà pagana verso la fine del IV secolo.

L'altare e la statua della Vittoria si trovavano nella Curia Iulia fin dall’inaugurazione (28 agosto del 29 a.C.), per ricordare la vittoria di Augusto (allora solo Ottaviano) nella battaglia di Azio (31 a.C.). Erano il simbolo di Roma che vinceva grazie al sostegno degli dèi. I senatori avevano reso omaggio alla statua per secoli, finché l’avvento del cristianesimo aveva posto in discussione il rito pagano.

A partire dal 357 si assiste a un andirivieni della statua, che viene rimossa e collocata secondo le disposizioni degli imperatori del tempo. Il senatore romano Q. Aurelio Simmaco chiese più volte che l’altare e la statua tornassero a loro posto, quello che la tradizione aveva loro assegnato.

Il tentativo andò a vuoto grazie all’azione dell’autorevole vescovo di Milano, Sant’Ambrogio. La statua, di antica origine greca, che proteggeva Roma invitta, non tornò mai più al suo posto e probabilmente andò distrutta. Simmaco aveva forse ragione: di lì a pochi anni avverrà il primo sacco di Roma e poi, per l’Impero Romano, sarà la fine.

Appuntamento al corso di latino presso l'Archivio di Stato di Milano - Via Senato 10 - sabato 12 maggio 2018 ore 9.30