Lezione multimediale un po’ particolare quella del prossimo sabato 7 ottobre 2017: darà l’occasione per la lettura di un riassunto della favola di Amore e Psiche corredata da qualche effetto speciale. Ecco due note introduttive sul rapporto tra Le Metamorfosi di Apuleio e il Decameron di Boccaccio.

Secondo Vittore Branca[1], Boccaccio sentì Apuleio “come un suo precursore, l’unico autore della letteratura greca e latina che avesse prestato orecchie alle narrazioni del popolo e le avesse ritenute degne di una consacrazione letteraria”.

Apuleio effettivamente si sentì debitore alla tradizione della fabula Milesia, più volte ricordata nella sua opera e particolarmente sottolineata nell’introduzione. La fabula Milesia era un genere di narrativa popolare, dai sapori forti e dai contenuti spesso ai limiti della decenza; potrebbe essere assimilata alle nostre storielle divertenti, con le quali alcuni narratori riescono ad avvincere l’uditorio facendolo ridere.

Come Apuleio attinge ad antichi racconti popolari di area mediterranea per rielaborarli artisticamente e nobilitarli con la sua sopraffina arte retorica, così Boccaccio attinge alla tradizione popolare medievale per realizzare un componimento nuovo di alto livello letterario: la novella in prosa. Grande è la cura stilistica dei due autori, che arrivano a toccare anche il registro della poesia.

Boccaccio è autore fortemente calato nel medioevo, e trova le sue fonti prevalenti nella vivace società contemporanea più che nella tradizione classica. Troviamo però ben due novelle apuleiane nel Decameron: sono la seconda novella della settima giornata e la decima della quinta, che hanno come modello chiaro due fabulae contenute nel IX libro delle Metamorfosi. 

Riportiamo qui il breve riassunto boccaccesco per avere un’idea delle due storielle abbastanza piccanti, ben celate nell’elegante prosa boccaccesca.

  • Peronella mette un suo amante in un doglio, tornando il marito a casa; il quale avendo il marito venduto, ella dice che venduto l’ha ad uno che dentro v’è a vedere se saldo gli pare; il quale saltatone fuori, il fa radere e poi portarsenelo a casa sua.
  • Pietro di Vinciolo va a cenare altrove, la donna sua si fa venire un garzone; torna Pietro; ella il nasconde sotto una cesta da polli; Pietro dice essere stato trovato in casa d’Ercolano, con cui cenava, un giovane messovi dalla moglie; la donna biasima la moglie d’Ercolano; uno asino per isciagura pon piede in su le dita di colui che era sotto la cesta; egli grida; Pietro corre là, vedelo, conosce lo ‘nganno della moglie, con la quale ultimamente rimane in concordia per la sua tristezza.

[Da notare il dettaglio dell’asino, ispirato dall’azione compiuta da Lucio sotto le spoglie di un asino]

Boccaccio deriva anche un’altra novella dalla tradizione classica: la seconda della seconda giornata, nota anche come La matrona di Efeso. La sua fonte in questo caso è il Satyricon di Petronio. Si può dire che è complessivamente modesto il contributo della tradizione classica alle novelle di Boccaccio: solo tre in totale.

È però nel disegno complessivo dell’opera che troviamo un importante elemento strutturale che fece da modello per Boccaccio.

Le Metamorfosi sono un romanzo-contenitore, un mezzo elegante per dare a una confusa congerie di racconti un filo conduttore; progressivamente la cornice, cioè la storia del protagonista, ci accompagna verso una conclusione seria ed edificante. Allegoricamente il romanzo è leggibile come un percorso di redenzione umana: l’uomo che si è messo nei guai peccando di curiositas, aderisce al culto di Iside, un culto misterico che lo innalza al di sopra delle miserie umane.

La favola di Amore e Psiche, posta al centro del romanzo, la più bella e la più lunga delle novelle, ribadisce l’intento allegorico dell’opera. Psiche (l’anima umana) è il personaggio allegorico più interessante del Romanzo, un alter ego dell’autore, noto per essere stato sempre curioso della filosofia, della magia e della medicina.

Boccaccio inserisce le novelle in una cornice di più complesso livello simbolico e storico, che era d’obbligo nel medioevo, ma Boccaccio ha tratto ispirazione da questa caratteristica del romanzo di Apuleio. 

C’è anche un altro elemento che va notato: la conclusione seria, mistica, del romanzo di Apuleio trova riscontro nella novella conclusiva del Decameron. Come l’edificante novella della Griselda boccaccesca funge da modello virtuoso e fa dimenticare le novelle più disinibite e brillanti che l’hanno preceduta, così l’intero undicesimo libro delle Metamorfosi apre al protagonista e agli uomini tutti il percorso per una redenzione spirituale, nello spirito diverso di tempi tanto lontani.

 

[1] Vittore Branca, Boccaccio Medievale, Sansoni 1970