Come spesso succede nei libri di Dan Brown, anche nel romanzo Crypto (titolo originale Digital Fortress, 1998, pubblicato in italiano nel 2006 da Mondadori) la cultura classica e la lingua latina hanno un loro piccolo spazio, che ora andiamo a esplorare.

  • Susan, crittologa, la protagonista femminile, spiega che “Cesare era stato il primo nella storia a scrivere in codice”. L’affermazione non è esatta, poiché sappiamo che nel mondo classico, gli Spartani... codificavano i messaggi riservati servendosi della scitala (gr. σκυτάλη - skytàle).

Il mittente scriveva il messaggio su una striscia di pelle arrotolata intorno a una bacchetta modellata, chiamata σκυτάλη; il messaggio poteva essere letto correttamente solo da chi possedeva una bacchetta identica su cui arrotolare la striscia di pelle. Molte fonti greche parlano di questa skytale (per es. Xen. Hell., III, 3, 8) ma due autori, Plutarco[1] (Lisandro, 19,5) e Aulo Gellio[2] (Noctes Att. XVII, IX, 6), spiegano nei dettagli il procedimento di questa tecnica di codifica.

In greco σκυτάλη significa per metonimia anche il messaggio inviato. Ecco alcune parole di Plutarco (II sec.):

ἔστι δὲ ἡ σκυτάλη τοιοῦτον. ἐπὰν ἐκπέμπωσι ναύαρχον ἢ στρατηγὸν οἱ ἔφοροι, ξύλα δύο στρογγύλα μῆκος καὶ πάχος ἀκριβῶς ἀπισώσαντες, ὥστε ταῖς τομαῖς ἐφαρμόζειν πρὸς ἄλληλα, τὸ μὲν αὐτοὶ φυλάττουσι, θάτερον δὲ τῷ πεμπομένῳ διδόασι. ταῦτα δὲ τὰ ξύλα σκυτάλας καλοῦσιν.

“La scitala è una cosa di questo genere. Quando gli efori inviano un messaggio a un navarco o a uno stratego, usano due bacchette di legno esattamente uguali di spessore e lunghezza in modo che nelle misure siano identiche fra loro; gli efori ne tengono una e danno l’altra all’inviato. I Lacedemoni chiamano scitale questi legni”.

Ecco una parte del passo di Aulo Gellio (IV sec.) Lacedaemonii autem veteres, cum dissimulare et occultare litteras publice ad imperatores suos missas volebant, ne, si ab hostibus eae captae forent, consilia sua noscerentur, epistulas id genus factas mittebant. Surculi duo erant teretes, oblonguli, pari crassamento eiusdemque longitudinis, derasi atque ornati consimiliter;… Hoc genus epistulae Lacedaemonii σκυτάλην appellant.

“Gli antichi Spartani quando volevano dissimulare e nascondere un messaggio inviato ai propri comandanti, affinché non fossero conosciuti i loro piani, nel caso in cui il messaggio fosse stato intercettato dai nemici, inviavano dei messaggi fatti in questo modo. C’erano due bacchette levigate, oblunghe, dello stesso spessore e di identica lunghezza, rifiniti e ornati in modo simile… I Lacedemoni chiamano scitala questo genere di epistola”.

C’è chi solleva qualche dubbio su quest’invenzione[3], ma c’è anche chi ha dedicato all’argomento una ricerca più estesa[4].

  • Nello stesso passo la crittologa Susan parla del “quadrato perfetto di Giulio Cesare”. Non ho trovato notizie dell’uso di questo metodo crittografico da parte di Cesare, ma l’unico quadrato di cui ho notizia è citato da Polibio X, XLV, 7. Il sistema assomiglia a quello attribuito a Cesare da Dan Brown, sembra tuttavia macchinoso e di difficile applicazione. Il messaggio criptato si presentava come una successione di lettere prive di senso, ma quelle lettere, trascritte in un quadrato, avevano senso compiuto.

Numerose fonti parlano invece di un codice segreto usato da Cesare nella sua corrispondenza riservata. Svetonio (Cesare, LVI, 8) afferma “Extant et ad Ciceronem, item ad familiares domesticis de rebus, in quibus, si qua occultius perferenda erant, per notas scripsit, id est sic structo litterarum ordine, ut nullum uerbum effici posset : quae si qui inuestigare et persequi uelit, quartam elementorum litteram, id est D pro A et perinde reliquas commutet.

“Rimangono anche delle lettere a Cicerone e anche ai familiari su argomenti domestici, in cui, se doveva trattare alcune cose in modo un po’ segreto, scrisse in codice, cioè disponendo le lettere in modo che non si potesse ricavare nessuna parola; nel caso in cui qualcuno voglia indagare e scoprire il loro valore, deve cambiare la lettera con la quarta dell’ordine alfabetico, cioè la D al posto della A e via di seguito.” [5]

  • L’unica vera citazione latina presente nel romanzo si trova sull’anello del deforme e sfortunato Tankado, depositario della “chiave” dell’intreccio del romanzo: Quis custodes ipsos custodiet, attribuita giustamente a Giovenale (VI, 348).

L’autore latino, nella satira VI, tutta dedicata ai vizi delle donne, allude all’inutilità di mettere dei custodi alle porte: l’astuta donna riuscirà ad eludere la loro sorveglianza. Un concetto simile era già presente nella Repubblica di Platone (Rep. III, 403e) Γελοῖον γάϱ τόν γε φύλαϰα φύλαϰος δεῖσϑαι “è davvero ridicolo che la guardia abbia bisogno di un guardiano”. Platone aveva in mente l’impossibilità di sorvegliare chi tende a ubriacarsi, ma in genere si intende l’impossibilità per un’istituzione di operare una sorveglianza efficace.

  • L’espressione “senza cera” (cioè “sinceramente”) con cui David, il protagonista maschile, chiude i suoi messaggi galanti in modo, ovviamente, criptico è l’ultima che prendiamo in considerazione.

David fa derivare l’espressione dallo spagnolo “sin cera” e ne fa risalire la nascita al Rinascimento, spiegando che I bravi scultori, che non erano costretti a usare la cera per sanare le imperfezioni delle proprie opere, definivano il lavoro “sin cera”, cioè perfetto.

Anche qui possiamo rilevare un’imprecisione: l’aggettivo latino sincerus esiste già nella lingua latina e ha già un etimo popolare che lo riconduce alla cera. Sine cera era il miele più puro (privo della cera del favo) e una citazione ciceroniana ci consente di contestualizzare l’aggettivo sincerus nell’ambito della purezza: secernere omnia fucata et simulata a sinceris atque veris (Cic).

Concludo qui questa analisi senza pretese del mondo latino del romanzo Crypto, che resta piacevole e avvincente anche con le approssimazioni con cui sono trattate la lingua e la cultura latina.

 

[1] http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus:text:2008.01.0070

[2] http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus:text:2007.01.0071

[3] Thomas Kelly, The Spartan Scytale, 1985 in The Craft of Ancient Historian

[4] http://bcs.fltr.ucl.ac.be/FE/07/CRYPT/Crypto44-63.html#historique

[5] Per ulteriori approfondimenti che comprendono l’analisi di altri passi di Svetonio Aulo Gellio e Dione Cassio si può leggere il bell’articolo La cryptographie dans l'Antiquité gréco-romaine in FEC - Folia Electronica Classica (Louvain-la-Neuve) - Numéro 7 - janvier-juin 2004.